Dossier n. 62/2002 - Assistenza ai pazienti con tubercolosi polmonare nati all'estero. Risultati di uno studio caso-controllo in Emilia-Romagna

Descrizione/Abstract:

STAMPA ESAURITA

 

Quadro epidemiologico

Negli ultimi quindici anni, in diversi paesi industrializzati è stato osservato un cambiamento nel trend secolare della tubercolosi (TBC), la cui incidenza era in diminuzione costante dall’inizio del secolo. Il primo paese a riconoscere tale fenomeno sono stati gli Stati Uniti, dove, tra il 1985 e il 1990, sono stati notificati 28.000 casi in più rispetto a quelli attesi sulla base del trend osservato in precedenza (Jereb, 1991). Un trend analogo è stato segnalato in alcuni paesi europei da Raviglione nel 1993 (Raviglione, 1993).

Gli immigrati da paesi ad alta endemia tubercolare, in tutti i paesi industrializzati, rappresentano una proporzione crescente dei casi totali di TBC notificati: nel 1998 in alcuni paesi europei i casi in cittadini stranieri rappresentavano più della metà dei nuovi casi di tubercolosi.

In Italia, tale fenomeno non è ancora così marcato. Comunque, nel 1995 i casi di TB in immigrati rappresentavano l’11% del totale dei casi notificati a livello nazionale, ma tale percentuale era molto più elevata in alcune classi di età: 24% in quella 15-24 anni; 28,5% nella classe di età 25-34 anni, 17% nella classe 35-44 anni (Malfait, 1998).

In Emilia-Romagna, la proporzione di casi di tubercolosi in immigrati è leggermente superiore alla media nazionale: nel 1992 gli immigrati rappresentavano il 12,2% di tutti i casi notificati, nel 1999 tale proporzione risulta raddoppiata (24%).

L’aumento osservato della proporzione di immigrati sul totale dei casi di tubercolosi è dovuto a due fenomeni: da una parte, l’aumento progressivo del numero di immigrati presenti in regione; dall’altra, la maggiore incidenza di tubercolosi in questo gruppo di popolazione come effetto della loro più frequente esposizione alla tubercolosi nei paesi di origine.

Dal 1991 al 1999 gli immigrati presenti legalmente sul territorio della regione sono triplicati passando da 32.000 soggetti a circa 110.000. In termini percentuali l’incidenza degli stranieri residenti sul totale della popolazione regionale è passata dall’1,1% del 1993 al 2,77 del 2000. Il maggior numero di stranieri è residente nella provincia di Bologna (28.481); in termini percentuali sulla popolazione residente, Bologna è quarta (3,11%), preceduta da Reggio Emilia (3,70%), Modena (3,45%) e Parma (3,15%). Le presenze percentualmente maggiori si ritrovano in piccoli comuni di collina o di montagna sull’Appennino (Servizio Politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale su dati ISTAT). Marocchini, albanesi, tunisini e cinesi costituiscono le comunità più numerose, tutti provenienti da paesi ad alta prevalenza di tubercolosi.

Tra le persone immigrate da paesi ad alta endemia tubercolare, l’incidenza di tubercolosi è più elevata rispetto ai cittadini italiani (nel 1999, 110,7/100.000 cittadini stranieri contro 9,7/100.000 cittadini italiani), anche se le stime negli stranieri devono essere considerate solo indicative: mentre infatti al numeratore sono inclusi i casi di TB in stranieri con e senza permesso di soggiorno, al denominatore compaiono solo gli stranieri con regolare permesso di soggiorno e questo porta a una sovrastima della reale incidenza.

Il Piano sanitario nazionale 1998–2000 individua la popolazione migrante tra i soggetti deboli cui indirizzare prioritariamente gli interventi di tutela della salute. Il Piano sanitario regionale dell’Emilia-Romagna 1999-2001 sottolinea “la necessità di prevedere un progetto speciale per la tutela della salute degli stranieri immigrati”. Il primo impegno è quello di facilitare l’accesso ai servizi del SSN, definendo percorsi specifici per gli immigrati non regolari, anche assicurando l’assistenza sanitaria di base in sinergia con le istituzioni locali e le associazioni di volontariato. L’obiettivo prioritario è di creare le condizioni per un tempestivo accesso ai servizi da parte dei cittadini e delle cittadine stranieri immigrati.

Il Piano sanitario regionale include, inoltre, il trattamento efficace della tubercolosi tra i programmi prioritari per il controllo della qualità, ponendosi l’obiettivo di assicurare la pronta diagnosi e il tempestivo avvio del trattamento antitubercolare e la supervisione dell’intero ciclo di trattamento, al fine di garantire che questo sia completato in almeno l’85% dei casi correttamente diagnosticati e avviati al trattamento.

 

Interventi per ridurre la frequenza di tubercolosi

Il trattamento con farmaci idonei, a dosi piene e per un periodo di tempo sufficiente, rappresenta l’intervento più efficace per ridurre le fonti di infezione nella popolazione (WHO, 1991). Prima di avviare programmi di screening mirati a identificare precocemente i malati o gli infetti, è essenziale quindi assicurarsi che i servizi diagnostico-terapeutici siano in grado di identificare tempestivamente i casi di tubercolosi, di iniziare una terapia in una proporzione elevata di casi e di ottenere una proporzione elevata di soggetti che completano il ciclo di trattamento. Se si identificano infatti il 100% dei casi di tubercolosi insorti nella popolazione, ma solo il 50% inizia la terapia e solo il 50% la completa, si otterrà una riduzione delle fonti di infezione nella popolazione pari a meno del 25% (ipotizzando una efficacia del trattamento pari a 95%). Se al contrario, si riuscirà a identificare solo la metà dei casi di TB, ma questi verranno avviati al trattamento nel 95% dei casi e completeranno la terapia nel 95% dei casi, la riduzione percentuale delle fonti di infezione nella popolazione sarà pari al 45% circa (Brenner, 1993). Inoltre, l’identificazione di casi di TB non seguita da un trattamento adeguato rischia di portare alla selezione di ceppi resistenti nella popolazione. È evidente quindi, come sottolineato in numerose occasioni dall’Organizzazione mondiale della sanità (Kochi, 1991), da autorevoli organizzazioni scientifiche (ATS, 1992) e da singoli autori (Sbarbaro, 1987), che il primo obiettivo di un programma di controllo è garantire una elevata efficacia nella pratica degli interventi diagnostico-terapeutici.

Le persone immigrate da paesi che non appartengono alla Comunità europea possono appresentare un gruppo particolarmente esposto a problemi di accesso all’assistenza e di adesione al trattamento antitubercolare. Ciò perché esistono barriere linguistiche e culturali che possono ostacolare l’accesso ai servizi e ridurre l’adesione alla terapia, e il timore di essere identificati, nel caso di immigrati irregolari, può influire pesantemente sulla adesione al trattamento. Inoltre, al momento in cui è stato condotto lo studio, gli immigrati extra-comunitari avevano accesso pieno al Servizio sanitario nazionale solo nel caso in cui fossero lavoratori dipendenti residenti o lavoratori autonomi residenti che pagavano annualmente la quota di iscrizione al SSN, oppure studenti o collocati alla pari che avessero versato un contributo fisso.

 

Tubercolosi e qualità dell’assistenza

Diversi fattori hanno contribuito al rallentamento del piano di eradicazione della TB nei paesi industrializzati (Sbarbaro, 1995). Tra questi vi sono una diminuita attenzione alla tubercolosi (mancanza di campagne di informazione, scarso rilievo nei documenti di programmazione, ecc.), una crescente disattenzione degli operatori responsabili della sorveglianza (ritardo e omissione delle notifiche, insufficiente case tracing) e, infine, la scarsa aderenza dei clinici a standard assistenziali per la diagnosi e il trattamento.

Il determinante principale della trasmissione della tubercolosi nella popolazione è rappresentato dal ritardo nell’inizio della terapia antitubercolare: molti pazienti con tubercolosi sintomatica non ottengono una terapia efficace per più di 30 giorni dopo la comparsa di una sintomatologia tipica (Sherman, 1999).

Alla scarsa tempestività della diagnosi di tubercolosi si associa una insufficiente proporzione di soggetti che vengono sottoposti a chemioterapia preventiva, quando questa sarebbe indicata. L’identificazione dei contatti dei casi di tubercolosi (contact tracing) è raramente tempestiva (Curtis, 2001). Ciò dipende anche dalla prontezza ed esaustività della notifica dei casi ai servizi di sanità pubblica. Questa fase è centrale per un efficace sistema di controllo e prevenzione della tubercolosi (WHO, 1998; CDC, 2000).

Molti studi pubblicati in letteratura dimostrano come gli errori nell’assistenza dei pazienti con tubercolosi siano numerosi e frequenti. La mancanza di standardizzazione del processo diagnostico, la non adesione a principi, basati sulle evidenze, di trattamento dei soggetti con tubercolosi o di monitoraggio degli effetti collaterali alla terapia antitubercolare sono fenomeni ben descritti in tutti i paesi (Mahmoudi, 1993; Mathur, 1994; Asch, 1998; Rao, 2000).

Questi errori, oltre a influire direttamente sul buon esito della malattia, aumentano il rischio di sviluppare resistenze ai farmaci, con conseguenze rilevanti in termini di costi dell’assistenza.

La Tabella 2 riporta le raccomandazioni dell’Infectious Disease Society of America (ISDA) per il corretto trattamento dei pazienti affetti da t ubercolosi, e i rela tivi indicatori di performance per valutare la qualità del sistema di assistenza dei soggetti affetti da tubercolosi (Horsbugh, 2000).

 

Progetto ATBIER - Assistenza ai pazienti con TBC immigrati nella regione Emilia-Romagna

 

Data di pubblicazione:
28/02/2002
Tipo di pubblicazione:
rapporti, linee guida, documenti tecnici
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ultima modifica 2019-01-16T17:30:03+01:00
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