Streptococcus salivarius by nasal spray for recurrent otitis: how good is the evidence?

Eur J Clin Microbiol Infect Dis, July 2016, 35 (7): 1215-1216. First online: 14 May 2016 - Lettera all'editore (e risposta)
Descrizione/Abstract:

Traduzione/sintesi di un intervento congiunto di professionisti dell’Agenzia sanitaria e sociale regionale dell’Emilia-Romagna, SaPeRiDoc, principali riviste italiane pediatriche e altri ricercatori su un tema affrontato dal progetto ProBA.

Pubblicazione in extenso in inglese
European Journal Clinical Microbiology & Infectious Diseases, 35 (7): 1215-1216, July 2016 (se abilitati) 

 

A settembre 2015 nella rivista European Journal Clinical Microbiology & Infectious Diseases vengono pubblicati i risultati di un trial controllato randomizzato sull’uso di Streptococcus salivarius sotto forma di spray nasale nella prevenzione degli episodi di otite media acuta (OMA) nei bambini che soffrono di OMA ricorrenti (OMAR) [1].

La ricerca è stata condotta da un gruppo di pediatri del dipartimento universitario di Milano di patofisiologia e trapianti (IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico) in collaborazione con il laboratorio MMAR dell’università di Catania.

Lo studio ha arruolato, fra ottobre 2013 e maggio 2014, 100 bambini di età 1-5 anni con storia di OMAR già seguiti nell’ambulatorio del Policlinico di Milano. Per essere inclusi nello studio i bambini dovevano stare bene (nessuna OMA in atto). Ai 100 bambini asintomatici è stato somministrato un trattamento con amoxicillina-acido clavulanico per 10 giorni. Razionale: eliminare eventuali commensali nasofaringei e favorire l’attecchimento dello Streptococcus salivarius. I bambini sono stati poi randomizzati e metà trattati con lo spray di Streptococcus e metà con uno spray placebo. Lo spray veniva usato due volte al giorno per cinque giorni consecutivi al mese per tre mesi. L’osservazione e rilevazione dell’esito (episodi di OMA) si è svolta nei 3 mesi di trattamento e per altri 3 mesi successivi. Il protocollo prevedeva una visita mensile al centro e ogni qualvolta i genitori sospettavano una OMA. Oltre a questo i genitori tenevano un diario dei sintomi e ricevevano una telefonata settimanalmente per verificare le condizioni del bambino. In caso di OMA il bambino riceveva trattamento con amoxicillina-acido clavulanico per dieci giorni e paracetamolo o ibuprofene solo in caso di febbre. Nei 6 mesi di osservazione 35/50 bambini nel gruppo trattamento e 40/47 bambini nel gruppo placebo ha avuto almeno un episodio di OMA, 35 e 39 rispettivamente hanno ricevuto il trattamento antibiotico, il numero medio di episodi OMA nei due gruppi è stato il medesimo (1.78 nel gruppo trattamento e 1.81 nel gruppo placebo).

Questo studio pone molti dubbi e suscita molte domande su come vengano disegnate e condotte alcune ricerche. Una lettera alla rivista [2] ha elencato vari elementi critici:

  1. L’uso di antibiotico in bambini sani non è accettabile, sia perché espone il singolo bambino a problemi legati ai possibili-probabili effetti collaterali del trattamento (si ricorda che l’associazione amoxicillina-acido clavulanico al dosaggio previsto dal protocollo di ricerca di 80 mg/Kg/die di amoxicillina supera le dosi massime di clavulanato raccomandate, pari a 10 mg/Kg/die [3] aumentando il rischio di  disturbi gastroenterici), sia perché concorre alla selezione di germi resistenti. L’antibioticoresistenza è IL problema delle cure, pediatriche e non, del nostro tempo [4,5] e del nostro paese [6] e che gli sforzi dei ricercatori e dei decisori devono essere volti all’uso razionale degli antibiotici, limitandone la prescrizione alle condizioni previste da linee guida basate su prove di efficacia [7].
  2. Le linee guida disponibili [3,8-11] raccomandano, in ogni caso di OMA, ,  un tempestivo trattamento analgesico con paracetamolo o ibuprofene a dosaggio doppio rispetto a quello antipiretico [12]. Il trattamento antibiotico, con molecola di prima scelta amoxicillina (e non amoxicillina-acido clavulanico come invece utilizzato in questa ricerca) è quasi sempre da ritardare. Dopo una vigile attesa, il trattamento antibiotico - nella maggior parte dei casi (circa 70%) - non è neppure necessario. La vigile attesa è il comportamento raccomandato nelle linee guida [3,8-11], efficace [13-15] e fattibile nel nostro contesto [16]. I bambini invece inclusi nello studio ricevono quasi sempre l’antibiotico, sempre in associazione amoxicillina-acido clavulanico, l’antipiretico solo in caso di febbre e con dosaggio inferiore a quello antidolorifico . Una mancanza di aderenza alle linee guida significativa, sia per la frequenza di ricorso al trattamento antibiotico sia per la scelta della molecola; anche considerando la particolare selezione dei bambini osservati - bambini con OMAR e quindi a maggior rischio di albergare germi resistenti alla sola amoxicillina - l’elevato tasso di trattamenti e l’assenza totale di ricorso alla amoxicillina semplice non è comprensibile. A questo si aggiunge la totale mancanza di analgesia, quindi di riduzione del dolore, forse l’unico vero sintomo che disturbi il bambino e preoccupi i genitori.
  3. Oltre a questi, altri aspetti avrebbero dovuto essere discussi nello studio [17]: non viene esaminato il tema della sovradiagnosi di OMAR descritto in letteratura [18,19], che deve essere affrontato in un’ottica di applicazione dei risultati della ricerca alla realtà clinica. Nota è anche l’associazione fra utilizzo di antibiotici e l’induzione di un maggior numero di ricorrenze di OMA [20]. Nota è l’associazione fra allattamento esclusivo e prolungato e il ridotto numero di episodi di OMA [21,22], ma i ricercatori non sono andati oltre una generica quanto non informativa registrazione di allattamento sì/no (quale allattamento? Completo, esclusivo, predominante e per quanto tempo?) che non aiuta a capire se i bambini randomizzati al trattamento differiscano in maniera significativa da quelli che ricevono il placebo per un rilevante fattore di confondimento . Da ultimo, il protocollo di ricerca non risulta registrato (l’articolo non riporta informazioni). La registrazione del protocollo dei trial è un passo fondamentale per ridurre il rischio di reporting bias [23].
  4. Veniamo infine ai risultati: il numero di bambini con almeno un episodio di OMA è inferiore in maniera statisticamente significativa nel gruppo trattato (35/50 bambini e 39/47 bambini). Ma il numero medio di episodi di OMA è pressoché identico: 1.78, 1.81. Quale di questi due indicatori è clinicamente rilevante? Se un genitore sottopone suo figlio al trattamento è perché si aspetta che questo lo faccia stare meglio, riduca cioè in maniera significativa il numero di episodi di OMA da lui sofferti. Questo trattamento non raggiunge l’obiettivo rilevante per i genitori. D’altro canto come potrebbe? Nonostante il generoso trattamento antibiotico iniziale, che ne avrebbe dovuto aumentare la frequenza, l’attecchimento dello Streptococcus salivarius si verifica solo in metà dei casi dopo la prima somministrazione e in un quarto di casi svanisce prima della terza; a un mese dal termine dell’intero ciclo di trattamento solo 17 dei 50 bambini trattati alberga ancora lo streptococcus, il loro numero si riduce ulteriormente e, a due mesi, sono solo 14 i bambini trattati colonizzati. Contradditoriamente, l’abstract conclude che “questo studio rivela la capacità dello S. salivarius 24SMB somministrato a livello nasale di ridurre il rischio di OMA nei bambini che soffrono di otiti ricorrenti”. Conclusione ripresa e amplificata dalla stampa non specialistica, che trionfalmente (ANSA salute e bambini dell’11 dicembre 2015) annuncia: “Arriva nuova arma contro otite, 'probiotico' in spray nasale. Risultati promettenti da studio italiano”. Di questa distorta comunicazione non sono responsabili i ricercatori, ma avrebbero potuto prevederla e magari prevenirla con una maggiore chiarezza nelle conclusioni del loro studio.

 

Bibliografia

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Risposta alla lettera:

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Data di pubblicazione:
20/06/2016
Tipo di pubblicazione:
articoli di rivista
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ultima modifica 2019-01-16T11:59:32+02:00
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