Dossier n. 218/2012 - La valutazione multidimensionale del paziente anziano. Applicazione di strumenti nei percorsi di continuità assistenziale

Descrizione/Abstract:

Una delle priorità indicate dal Piano sanitario e sociale regionale dell’Emilia-Romagna riguarda l’assistenza agli anziani e ai soggetti fragili. Di fronte al crescente numero di soggetti che presentano specifiche necessità assistenziali si è andato configurando un sistema complesso e articolato di risposte.

Il concetto di continuità assistenziale, definita come il processo mediante il quale pazienti e medici cooperano attivamente nella gestione del percorso assistenziale, si estende al di là degli aspetti interpersonali dell’assistenza, fino ad essere intesa come il prolungarsi nel tempo della relazione medico-paziente; tale visione non può prescindere da una valutazione della qualità e del rapporto costo/efficienza del servizio. Si tratta pertanto di una relazione assistenziale continuativa, incentrata sui bisogni individuali del paziente, sulla comunicazione e gestione delle patologie nel contesto più ampio della vita del paziente. Una continuità assistenziale ben funzionante è associata con la riduzione del rischio di ospedalizzazione nei pazienti anziani.

Contestualmente è emersa la necessità di migliorare la qualità dell’assistenza, che oggettivamente ha raggiunto livelli di complessità notevoli aggravando gli elementi di criticità costituiti dall’integrazione nel sistema tra i vari componenti erogativi dei servizi. Dare continuità significa promuovere la centralità del paziente nel percorso assistenziale, ma non solo ponendo il paziente al centro di un sistema di servizi: già Shortell (1976) definiva la continuity of care come la misura in cui i servizi sanitari sono recepiti come parte di una successione coordinata e ininterrotta di eventi coerenti con i bisogni dei pazienti; più recentemente l’accento è stato posto sull’integrazione verticale dei percorsi assistenziali, dall’ambito specialistico delle strutture ospedaliere al contesto delle cure primarie. La percezione di continuità assistenziale, ovvero della progressione dell’assistenza in modo continuo e coordinato, è un elemento fondamentale per la soddisfazione dei pazienti e, soprattutto per i pazienti cronici, risulta influenzata maggiormente dal modello assistenziale più che dal tipo di patologia.

Costituisce pertanto una priorità entrare nel merito della rete dei servizi che si è costituita e verificarne l’efficacia e l’appropriatezza, anche alla luce dei cambiamenti all’interno della stessa popolazione assistita. Non si tratta tanto di misurare il grado di integrazione dei servizi, quanto di comprendere in quale misura l’articolazione di un percorso assistenziale influisce sulla qualità di vita del paziente inserito all’interno dello stesso. Esperienze europee precedenti, ad esempio, hanno valutato i programmi di gestione autonoma della patologia da parte di pazienti cronici, senza però ottenere risultati conclusivi.

In questa prospettiva, il Dossier presenta i dati emersi dal progetto “La continuità assistenziale: applicazione del set minimo di scale per la valutazione del paziente anziano e del percorso di presa in carico” (condotto in Emilia-Romagna nel periodo 2008-2009). Il progetto prevedeva la sperimentazione e la messa a punto di indicazioni operative di un set minimo di scale per la valutazione del paziente cronico anziano al fine di rendere possibile il confronto tra setting assistenziali omogenei, l’appropriatezza dei percorsi e stime di previsione sui bisogni assistenziali dei soggetti fragili. Il progetto è costituito da più centri di ricerca, convergenti verso medesime finalità seppure caratterizzati da specifici contributi.

La situazione attuale, in termini di assistenza riferita ai bisogni degli anziani, specie non autosufficienti o a rischio di diventarlo, evidenzia diverse criticità. Alcune di queste riguardano i processi assistenziali, che sono stati oggetto del precedente bando di modernizzazione 2007, tra cui:

  • la difficoltà a dare continuità assistenziale;
  • la difficoltà nell’integrazione socio-sanitaria;
  • la qualificazione dell’assistenza nelle strutture residenziali e semiresidenziali oggi valutate per posti letto e non per i loro progetti di struttura e individuali (PAI).

Altre criticità si riferiscono alla capacità di misurare l’esito assistenziale, in particolare:

  • la necessità di lavorare non solo sui bisogni ma anche sulla possibilità di preservare le capacità residue degli anziani;
  • la difficoltà nel valutare in modo completo i bisogni del paziente per determinare chi e con quali competenze professionali possa attivare un processo assistenziale appropriato. Ciò deriva in parte dalla scarsa capacità di estendere la metodologia di valutazione multidimensionale (VMD) a tutti i setting assistenziali, sul modello della Unità di valutazione geriatrica (UVG);
  • la scarsa capacità, all’interno delle strutture residenziali e semiresidenziali, di monitorare e misurare gli esiti assistenziali (outcome) predefiniti nel PAI;
  • la difficoltà di costituire una banca dati che raccolga in modo sistematico e omogeneo le informazioni che possano permettere un confronto tra diverse realtà;
  • la mancanza di una valutazione continua e appropriata del case mix all’interno delle strutture residenziali, che non permette di cogliere l’evoluzione dei bisogni e, di conseguenza, l’adeguatezza dell’offerta dei servizi.

In particolare è noto che la messa a punto di strumenti di valutazione del bisogno da utilizzare come riferimento per un primo esame, e la loro ripetizione in tempi stabiliti permette di:

  • stimare il raggiungimento degli obiettivi del progetto individuale;
  • programmare gli interventi;
  • documentarne l’attuazione;
  • attuare sistemi di monitoraggio che evidenzino e intercettino eventi che, se raccolti, possono rappresentare importanti indicatori di esito, con capacità potenziali di prevenire situazioni di rischio clinico.

La valutazione prevista nel progetto si è basata su tre principi fondamentali:

  • multidimensionalità: gli esiti devono essere misurati rispetto a molteplici parametri, sia clinico-funzionali sia psico-sociali;
  • multiassialità: gli esiti devono essere misurati considerando i diversi punti di vista dei soggetti coinvolti nel processo di cura (pazienti, medici, operatori, caregiver);
  • longitudinalità: gli esiti devono essere misurati attraverso misurazioni ripetute e protratte per periodi prolungati.

L’attendibilità dei risultati consentirà l’assunzione di specifici indicatori di sintesi da introdurre nei flussi regionali già esistenti, e la valutazione dei modelli permetterà l’identificazione di requisiti da inserire negli strumenti di governo del sistema regionale (ad esempio, accreditamento). Inoltre potranno essere predisposti piani di fattibilità per estendere l’utilizzo del set minimo di scale ai setting dei percorsi assistenziali includendo tutti i nodi della rete.

 

Data di pubblicazione:
01/01/2012
Tipo di pubblicazione:
rapporti, linee guida, documenti tecnici
Lingua della pubblicazione:
Italiano
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