Dossier n. 82/2003 - Applicazione del DLgs 626/94 in Emilia-Romagna. Report finale sull'attività di monitoraggio

Descrizione/Abstract:

Premessa

Nella prima metà del 2002 si è completata l’azione di monitoraggio e controllo sull’applicazione del DLgs 626/94 su un campione rappresentativo di 1.087 aziende dell’Emilia-Romagna. Tale attività è stata realizzata nell’ambito di un progetto nazionale che è stato promosso dal Coordinamento delle Regioni e delle Province autonome, recepito e finanziato anche dal Ministero della salute, ed è stato coordinato dall’Agenzia sanitaria regionale dell’Emilia-Romagna. Sono state in totale coinvolte 8.943 aziende in 12 regioni e una provincia autonoma (Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Provincia autonoma di Trento, Umbria).

In questo Report vengono presentati i principali elementi rilevati in Emilia-Romagna, articolati in una introduzione/premessa di ordine metodologico, sette monografie che approfondiscono i principali processi organizzativi della prevenzione nelle aziende, alcune considerazioni conclusive sulle possibili interpretazioni dei dati descritti e presentati.

 

Il quadro completo degli interventi effettuati

Nella Tabella A i dati sono disaggregati per Azienda USL.

Per quel che riguarda la divisione per fasce di dimensione aziendale, le aziende controllate sono così distribuite:

  • il 33% nella fascia delle piccolissime imprese (da 6 a 9 addetti – si ricorda che le aziende con meno di 6 addetti erano state escluse dal monitoraggio);
  • il 30% nella fascia da 10 a 19 addetti (piccole imprese);
  • il 28% nella fascia da 20 a 199 addetti (medie imprese);
  • il 9%, infine, nella fascia con 200 e più addetti (grandi imprese).

Per quel che riguarda la divisione in comparti e settori produttivi, i 10 comparti più rappresentati sono quelli di seguito elencati:

  • metalmeccanico/elettrico/elettronico, con 218 aziende;
  • commercio e riparazioni, con 165 aziende;
  • costruzioni, con 84 aziende;
  • tessile/abbigliamento, con 78 aziende;
  • chimica/gomma/plastica, con 69 aziende;
  • trasporti e magazzinaggio, con 66 aziende;
  • alimentare, con 61 aziende;
  • scuola e istruzione, con 56 aziende;
  • attività immobiliari/noleggio/informatica, con 54 aziende;
  • alberghi e ristoranti, con 43 aziende.

 

Principali risultati del progetto

Ciò che emerge dall’analisi conclusiva dei dati raccolti conferma quanto già emerso dal primo Report intermedio regionale, prodotto nel 2000 su un primo campione di circa 350 aziende e pubblicato nella collana Dossier del Centro di documentazione per la salute delle Aziende USL Città di Bologna e di Ravenna (n. 50).

Questa indagine permette di smentire serenamente tutti coloro che considerano il DLgs 626 una legge inapplicabile perché troppo onerosa in termini di adempimenti burocratici: non è così, anzi gli adempimenti meramente burocratici e formali sono proprio quelli che più sistematicamente vengono garantiti (basta leggere con attenzione le monografie sull’organizzazione del sistema di prevenzione aziendale e sulla valutazione dei rischi per rendersene pienamente conto). Quello che è mancato clamorosamente è l’adesione allo spirito reale del 626, al modello organizzativo che propone, alle attività e ai processi che si sarebbero dovuti attivare, al sistema partecipativo che gli sottende.

Gli elementi di ordine generale che emergono con maggiore evidenza sono i seguenti.

In positivo

  • Una discreta attuazione (ma ancora incompleta, e spesso più formale che sostanziale) dei principi partecipativi del DLgs 626 (incentrati sul RLS); si è comunque evidenziato come la presenza dei RLS (Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza - specialmente nel contesto di un sistema di relazioni corretto e non solo formale) sia uno dei fattori vincenti per una positiva ed efficace applicazione del 626.
  • L’individuazione nell’attività di sorveglianza sanitaria del punto gestito con maggiore conformità alle disposizioni del 626.
  • L’individuazione di una serie di fattori vincenti quali garanzia di un’efficace applicazione del 626 (e quindi di una buona organizzazione aziendale della prevenzione).
  • Il raggiungimento di buoni livelli applicativi del 626 in un certo numero, limitato ma pur sempre significativo, di piccole e piccolissime imprese.

In negativo

  • La maggiore criticità delle piccolissime e piccole aziende rispetto alle grandi; questo fatto non può essere tout court imputato a una volontà generalizzata delle piccole e piccolissime imprese di non aderire alle norme imposte dal 626 (componente che pure è presente, in quanto non si può dimenticare come il 626 sia una norma la cui applicazione meglio si attaglia alle aziende di medie o grandi dimensioni, ponendo invece non poche difficoltà a quelle di dimensioni inferiori). I dati definitivi hanno però evidenziato che anche tra le grandi imprese (oltre i 200 addetti) esistono ancora sacche, limitate ma pur sempre significative, di carenze applicative del 626.
  • Il cut off in termini di criticità di dimensione aziendale si può collocare al livello dei 50 addetti: al di sopra di tale limite, la situazione è nettamente più favorevole; si può rilevare anche una certa differenziazione per comparti.
  • L’individuazione dei punti più deboli dell’organizzazione e dei processi aziendali per la prevenzione nelle attività di: formazione, programmazione degli interventi, procedure di sicurezza.
  • Un’adesione più agli aspetti formali e superficiali del 626, a scapito di un’attuazione seria e concreta dei principi ispiratori.
  • Una gestione della prevenzione praticata come collaterale e/o aggiuntiva alla gestione aziendale con scarsi elementi di integrazione, che si traduce anche in una sorta di deresponsabilizzazione della line aziendale, dirigenti e preposti, per far gravare tutto l’onere della prevenzione sul SPP. Anzi, si potrebbe dire che in troppe aziende il “sistema di prevenzione” si esaurisce nel “servizio di prevenzione”.

Si è parlato di “fattori vincenti”; si tratta fondamentalmente dei punti seguenti:

  • la presenza di un RSPP con esperienza specifica;
  • il supporto di consulenti esterni;
  • la completezza (soprattutto) e la coerenza della valutazione dei rischi;
  • lo sforzo di organizzare un sistema di prevenzione, con declinazione precisa delle responsabilità delle diverse figure;
  • l’attivazione di un sistema informativo dedicato alla prevenzione;
  • la capacità di stilare programmi di intervento cronologicamente definiti, che tengano conto dei principi e criteri dell’art. 3/626, con specifica attenzione a informazione, formazione, procedure, e con un centro di responsabilità che presidi e verifichi l’attuazione di quanto previsto;
  • l’integrazione di tale programma nella complessiva organizzazione aziendale;
  • la definizione di procedure di sicurezza e la verifica della loro applicazione;
  • il coinvolgimento del medico competente (soprattutto), ma anche di RLS, dirigenti e preposti nella valutazione dei rischi;
  • la presenza dei RLS;
  • le buone e corrette relazioni con i RLS.

Entrando nel dettaglio dei dati descrittivi, si possono prendere in esame i principali processi di prevenzione aziendale oggetto dell’indagin e, e fornire alcuni dati numerici che ne connotano le più significative caratteristiche.

I dati si riferiscono all’insieme di tutte le aziende di tutta la regione. Per brevità, qui non vengono disaggregati per fasce di dimensione aziendale (come viene invece sistematicamente fatto nel testo integrale): basta ricordare che praticamente per tutti i parametri sotto esaminati la situazione migliora al crescere della dimensione aziendale (dalle piccolissime alle piccole alle medie, e infine alle grandi).

 

1.  L’organizzazione del sistema di prevenzione aziendale

  • Ha attivato il Servizio prevenzione e protezione e ha individuato il suo responsabile il 96% delle aziende.
  • Il Responsabile SPP è il datore di lavoro stesso nel 48% delle piccolissime aziende (da 6 a 9 addetti) e nel 41% delle piccole (da 10 a 19 addetti).
  • Sono presenti consulenze per la sicurezza nell’86% delle aziende.
  • Il medico competente è stato nominato nel 93% dei casi in cui era necessario.
  • Gli addetti ai compiti speciali (antincendio, ecc.) sono stati individuati in una percentuale di casi variabile dall’85% per l’antincendio, al 79% per la gestione delle emergenze, all’80% per il pronto soccorso.
  • Esiste un’organizzazione definita del sistema di prevenzione nel 63% dei casi.
  • Sono puntualmente individuate e descritte le responsabilità e i compiti (in particolare per dirigenti e preposti) nel 44% dei casi in cui esiste un’organizzazione del sistema prevenzionistico.
  • Esiste un sistema aziendale di control lo sul rispetto/applicazione delle misure di prevenzione nel 32% dei casi (solo parzialmente in un altro 22%); si fa sempre riferimento, per la percentuale, alle sole aziende in cui esiste un’organizzazione del sistema prevenzionistico.
  • Esiste un sistema informativo dedicato per la sicurezza nel 22% delle aziende (solo parzialmente in un altro 18%).

 

2.  La valutazione dei rischi

  • È stata effettuata dal 95% delle aziende del campione; nell’84% dei casi è stata valutata completa e nel 59% dei casi è stata valutata coerente coi reali livelli di rischio (ovviamente, l’insieme cui si riferisce il valore percentuale è quello delle aziende che avevano effettuato la valutazione e redatto il documento finale, riscontro indispensabile per poter esprimere giudizi di completezza e coerenza); i casi in cui la valutazione dei rischi è stata considerata sia completa che coerente assommano al 57% del totale delle aziende che hanno effettuato la valutazione e hanno redatto il documento.
  • Gli strumenti più utilizzati nel percorso valutativo sono stati il sopralluogo, il registro infortuni, i dati storici della sorveglianza sanitaria, le schede informative per la sicurezza dei preparati e delle sostanze chimiche.
  • Gli elementi più considerati nella valutazione sono stati gli ambienti di lavoro, i dispositivi individuali e collettivi di sicurezza, la sicurezza intrinseca di macchine e impianti; un po’ meno l’organizzazione del lavoro.
  • Il medico competente è stato coinvolto nella valutazione nel 48% delle aziende (percentuale riferita a tutte le aziende), i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nel 40% (percentuale riferita a tutte le aziende); in modo minore i dirigenti e i preposti.
  • In caso di modifica dell’organizzazione produttiva, del ciclo, dei rischi, la valutazione dei rischi è stata aggiornata solo nel 43% dei casi.

 

3.  La programmazione degli interventi preventivi e protettivi

  • Ha definito un programma attuativo delle misure preventive e protettive il 68% delle aziende che aveva la necessità di attivare interventi.
  • Tale programma è inserito nel più ampio contesto della programmazione aziendale nel 44% delle aziende che hanno redatto un programma, ed è articolato cronologicamente in modo dettagliato nel 53% delle aziende (ovviamente, di quelle che hanno redatto un programma). Esiste un centro di responsabilità per l’attuazione di tale programma nel 41% delle aziende che hanno redatto un programma.
  • Il programma è congruo rispetto ai livelli di rischio nel 63% dei casi, e rispetto alla complessità tecnica e tecnologica degli interventi da attuare nel 59%.
  • Gli interventi previsti con maggior frequenza sono quelli tecnici (su impianti, macchine, locali), quelli sui DPI – dispositivi di protezione individuali - e quelli di tipo informativo e formativo, molto meno quelli di ordine ergonomico e relativi alle procedure di sicurezza.

 

4.  L’informazione

  • L’informazione specifica ai lavoratori sui loro rischi, misure preventive, ecc., è stata fornita in una percentuale di casi variabile dal 67% (informazione sul rischio e sulle norme di sicurezza) al 43% (informazione sulle sostanze pericolose).
  • Tra gli strumenti utilizzati, prevalgono quelli più “freddi” e meno interattivi (distribuzione di dèpliant, in particolare), ma non sono poche le aziende che viceversa hanno adottato strumenti più coinvolgenti (riunioni, assemblee, ecc.).
  • Una programmazione delle attività di informazione esiste nel 55% dei casi, un percorso informativo dedicato per i nuovi assunti nel 55% dei casi.
  • Responsabili del Servizio prevenzione e protezione, consulenti e medici competenti sono le figure più coinvolte nella progettazione ed effettuazione dell’attività informativa. 

 

5.  La formazione

  • La formazione specifica ai lavoratori sui loro rischi, misure preventive, ecc., è stata fornita nel 55% dei casi.
  • La formazione specifica prevista per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza è stata fatta nel 55% dei casi (riferiti alle sole aziende che hanno RLS), e per gli addetti ai compiti speciali nel 63% per l’antincendio, 56% per la gestione delle emergenze/evacuazione, 55% per il pronto soccorso (dati riferiti all’intero campione).
  • Tra gli strumenti utilizzati, prevalgono quelli più “freddi” e meno interattivi (distribuzione di materiale, lezioni frontali teoriche); meno numerose sono le aziende che viceversa hanno adottato strumenti più coinvolgenti (esercitazioni pratiche, simulazioni, ecc.).
  • Una programmazione delle attività di formazione esiste nel 36% dei casi; la formazione dei nuovi assunti è stata effettuata nel 70% delle aziende in cui si erano verificate nuove assunzioni; l’implementazione della formazione in caso di cambio mansione o di cambiamenti delle condizioni di rischio avviene rispettivamente nel 55-52% dei casi (le percentuali di queste ultime due fattispecie sono riferite al totale delle aziende in cui la fattispecie stessa si è verificata).
  • Responsabili del Servizio prevenzione e protezione, datori di lavoro, consulenti e medici competenti sono le figure più coinvolte nella progettazione ed effettuazione dell’attività formativa.
  • Una verifica finale di apprendimento è stata realizzata nel 20% delle aziende che hanno effettuato del tutto o parzialmente la formazione.

 

6.  La consultazione e la partecipazione

  • I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza sono presenti nel 66% delle aziende; nel 57% dei casi (il dato è riferito alle sole aziende in cui sono presenti gli RLS) sono interni e non fanno parte delle RSU, in un altro 33% sono interni e fanno invece parte delle RSU. L’incidenza di RLS-T (territoriali, quindi “esterni” all’azienda) è molto bassa: ciò si verifica solo nel 10% dei casi.
  • Sono stati consultati dall’azienda in occasione della valutazione dei rischi nel 60% dei casi (il dato è riferito alle aziende in cui erano presenti), e sulle altre tematiche per cui è prevista obbligatoriamente la consultazione in un numero di casi, per i diversi temi, variabile dal 53% al 21% dei casi.
  • Il clima di relazioni con l’azienda è stato definito come sostanzialmente positivo nel 74% dei casi, e la riunione periodica annuale si tiene regolarmente ed è efficace e costruttiva nel 56% delle aziende in cui esistono i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
  • I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ricevono dall’azienda le informazioni dovute nel 93% dei casi per ciò che attiene la valutazione dei rischi.

 

7.  Le procedure di sicurezza

  • Sono previste procedure di sicurezza per le fasi più critiche e rischiose del lavoro (manutenzioni occasionali, situazioni di emergenza) o per le fasi ordinarie di lavoro, in una percentuale di casi variabile dal 68% per le situazioni di emergenza, al 44% per le condizioni ordinarie di lavoro, al 32% per le manutenzioni.
  • Dove esistono, sono state formalizzate mediam ente nel 79-85% dei casi.
  • Un sistema interno di verifica del rispetto e applicazione delle procedure è previsto nel 39% dei casi (riferito alla quota di aziende in cui esistono procedure di sicurezza). 
  • Parimenti, un sistema di aggiornamento e revisione delle procedure stesse si rileva nel 31% delle aziende in cui esistono le procedure.
  • Piani di sicurezza specifici per prevenzione incendi sono stati riscontrati nel 61% delle aziende controllate.

 

8.  La gestione degli appalti ( esclusa la problematica degli appalti di o pere edili, in “regime 494”)

  • Appalti sono presenti nel 46% delle aziende, e riguardano in particolare due tipologie di attività: pulizie e manutenzione; poi, molto meno frequente, il facchinaggio (seguono mensa e altre varie).
  • L’idoneità professionale della ditta appaltatrice viene verificata nel 91% delle aziende che affidano lavori in appalto, e, ove la verifica venga effettuata, nell’85% dei casi appare adeguata.
  • Analogamente, l’informazione al datore di lavoro della ditta appaltatrice dei rischi specifici presenti nell’azienda del committente vi ene effettuata nell’82% dei casi, e, in questo insieme, in modo adeguato nell’83% dei casi.
  • Infine, viene formalizzato il modo con cui gestire in collaborazione eventuali fasi di lavoro comune tra ditta committente e appaltatrice per garantire la massima sicurezza nel 46% dei casi.

 

9.  La sorveglianza sanitaria

  • Viene effettuata nel 94% delle aziende in cui è necessaria.
  • Nel 94% dei casi esistono specifici protocolli adottati dal medico competente.
  • Il medico competente ha partecipato alla valutazione dei rischi nel 78% dei casi, ha effettuato i sopralluoghi previsti dalla norma nel 93% dei casi (sempre riferiti alle aziende in cui è presente).
  • Gli accertamenti sanitari preventivi sono effettuati nel 95% dei casi, quelli periodici sono regolarmente effettuati nel 98% dei casi.
  • È presente la cartella sanitaria e di rischio dei singoli lavoratori nel 99% dei casi, e nella quasi totalità dei casi è conservata con rispetto del segreto professionale.
  • I lavoratori sono informati sul significato e sull’esito degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti nel 99% dei casi, e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ricevono le informazioni “epidemiologiche” in forma collettiva e anonima nel 78% delle aziende (ovviamente, l’insieme cui ci si riferisce è quello delle aziende in cui è presente il medico competente).

Passando da una visione analitica delle singole schede a una visione sintetica e comparativa, è possibile rilevare che – utilizzando gli strumenti descritti nel Report: indice di scheda e indice globale, ognuno variabile da un valore di -100 a un valore di +100 – le varie attività ora esaminate hanno indici di scheda ben diversi.

Si ricorda brevemente il quadro di riferimento dei valori numerici di indice di scheda e di indice globale:

  • inferiore a 0 - giudizio negativo
  • tra 1 e 10 - giudizio insufficiente
  • tra 11 e 20 - giudizio scarso
  • tra 21 e 30 - giudizio sufficiente
  • tra 31 e 40 - giudizio accettabile
  • tra 41 e 50 - giudizio discreto
  • superiore a 50 - giudizio buono

Un’ulteriore semplificazione di questa griglia di giudizi, che sarà utilizzata più avanti, accorpa i giudizi in tre fasce (ciò vale in particolare per l’indice globale d’azienda, costituito dall’integrazione ponderata dei diversi indici di scheda), individuando tre grandi classi di aziende:

  • classe A, con indice globale inferiore a +20 - giudizio insoddisfacente
  • classe B, con indice globale compreso tra +21 e +50 - giudizio sufficiente
  • classe C, con indice globale superiore a +50 - giudizio soddisfacente

Nella Tabella B sono riportati gli indici delle 9 schede corrispondenti alle 9 attività prima esaminate analiticamente. Come si osserva, la situazione è piuttosto differenziata.

Quindi si può rilevare senza ombra di dubbio che la sorveglianza sanitaria è l’attività meglio gestita, mentre formazione, procedure di sicurezza, programmazione degli interventi preventivi e protettivi sono le attività peggio presidiate e gestite. Questo si verifica indipendentemente dall’appartenenza a un determinato comparto o settore produttivo o a una diversa fascia di dimensione aziendale. Rimane comunque valida la considerazione fatta in precedenza sul fatto che per ogni attività la situazione (e quindi il valore numerico dell’indice, che la connota in termini di qualità) peggiora al decrescere della dimensione aziendale.

Riprendendo la precedente classificazione si può notare che:

  • nell’area del giudizio di buono si colloca la sola sorveglianza sanitaria;
  • nell’area del giudizio di negativo si collocano la programmazione degli interventi, la formazione e le procedure di sicurezza.

Se infine si considera il giudizio globale sull’azienda, espresso appunto dall’indice globale, è interessante disaggregare il dato per fasce di dimensione aziendale, come si può vedere alla Tabella C.

I numeri si commentano da sé: gli indici delle piccole e piccolissime aziende sono nettamente al di sotto dell’IG medio di tutte le aziende del campione, mentre quelli delle medie e delle grandi si collocano ancora più nettamente al di sopra.

Un discorso analogo può essere fatto per le singole attività. Tutti gli IS seguono lo stesso andamento crescente dalle piccolissime alle grandi aziende. Anche le attività in cui l’IS medio nazionale è del tutto negativo (es. programmazione interventi, formazione e procedure) hanno, nelle aziende grandi, IS positivi, e anche nelle medie hanno comunque punteggi superiori allo zero.

La Tabella C non può fornire informazioni più approfondite sulla criticità di applicazione del 626; ma ha comunque indicato chiaramente le fasce di dimensione aziendale più problematiche e le attività che sono presidiate in modo meno adeguato.

Si è però voluto analizzare i dati con un altro criterio: infatti, tenendo conto dei rilevanti valori delle deviazioni standard, la media può essere uno strumento non completamente adeguato per interpretare i dati. Si è quindi proceduto a una classificazione per ranghi, individuandone 3, corrispondenti alle classi A, B e C prima descritte, ovvero:

  • aziende con IG inferiore o uguale a 20, cioè con risultato insoddisfacente, denominate gruppo A;
  • aziende con IG superiore a 20 e inferiore o uguale a 50, con un risultato sufficiente, denominate gruppo B;
  • aziende con IG superiore a 50, con un risultato nel complesso soddisfacente, denominate gruppo C.

Complessivamente, sul totale delle 1.087 aziende controllate:

  • nel gruppo A (insoddisfacente) si colloca il 56% delle aziende;
  • nel gruppo B (sufficiente) il 27%;
  • nel gruppo C (soddisfacente) il 17%.

È interessante proporre questa classificazione per ranghi perché permette di precisare meglio alcuni giudizi un po’ troppo ingenerosi verso le piccole e piccolissime aziende che si potrebbero troppo semplicisticamente dedurre dall’esame dei soli valori medi di IG. Le aziende sono distribuite come in Tabella D.

Come si può osservare, se è vero che tra le piccole aziende (10-19 addetti) il 65% si colloca nel gruppo A e che la percentuale di appartenenza al gruppo A sale addirittura al 78% per le piccolissime (6-9), è altrettanto vero, e d è importan te sottolinearlo, che un 35% delle piccole a ziende si colloca complessivamente nei gruppi B e C e che anche un 22% delle piccolissime si colloca in tali gruppi.

Quindi, più del 20% delle piccolissime aziende ha applicato in modo decoroso il 626, a smentire coloro che, anche in sedi qualificate, affermano l’impossibilità per le piccole e piccolissime imprese di mettere in atto concretamente i principi organizzativi contenuti nel 626, e ipotizzano quindi incomprensibili modifiche legislative di alleggerimento.

Queste considerazioni, d’altro canto, rendono ancora più delicata la posizione di quel 78% di piccolissime aziende (e di quel 65% delle piccole) che invece sono attestate su risultati inadeguati; risultati inadeguati che, peraltro, si riscontrano anche nelle medie aziende (nel 37% dei casi) e perfino nelle grandi in un 8% dei casi. A questi livelli di dimensione aziendale (e di contesto organizzativo), tali carenze appaiono ancor più censurabili.

Ulteriori elaborazioni hanno poi permesso di rilevare altre informazioni di notevole interesse:

  • nella vastissima fascia di aziende comprese tra 20 e 199 addetti, il livello critico è quello dei 50 addetti: al di sotto di tale numero, le aziende di questa fascia tendono ad assomigliare, come comportamento in ordine alla sicurezza, alle piccole, mentre al di sopra sono più affini alle grandi;
  • per quel che riguarda i comparti produttivi, la situazione ap pare migliore in alcuni comparti di produzione (chimico, alimentare, metalmeccanico) e in alcuni di servizi (banche/assicurazioni, sanità, scuola); è invece peggiore nel tessile/ abbigliamento, legno, agricoltura, trasporti/magazzinaggio (tra le attività produttive) e in altri comparti di servizi (es. commercio, alberghi/ristoranti, attività immobiliari, noleggio, informatica).

Quindi, integrando ivari risultati analizzati, è possibile individuare sia leprincipali criticità applicative del DLgs 626 in termini di processi preventivi (e quindi di temi su cui lavorare per migliorare), sia le situazioni di maggiore sofferenza in termini di dimensione aziendale e tipologia di attività (e quindi i target su cui mirare gli interventi).

 

Conclusioni

Questo Report conclusivo permette di dimostrare come il lungo e impegnativo progetto che ha coinvolto centinaia di operatori in Emilia-Romagna (e in tutta Italia) abbia pienamente conseguito i suoi obiettivi, ovvero:

  • evidenziare i livelli applicativi del DLgs 626/94 nelle aziende del paese, sottolineando criticità e punti di forza;
  • individuare le situazioni su cui occorre prevedere interventi correttivi;
  • fornire indicazioni utili per eventuali interventi di ordine orientativo e programmatorio da parte della Regione (nonché delle Aziende USL), sia di supporto e assistenza, sia di vigilanza, a ragion veduta e sulla base di riscontri precisi;
  • portare un contributo sperimentale altamente qualificato e documentato al dibattito italiano ed europeo sulla normazione in campo di sicurezza e sulla sua applicazione ed efficacia;
  • mettere a disposizione delle parti sociali uno strumento informativo e un metodo d’approccio che può costituire un utile strumento per analisi proprie (esperienza già fatta da parte di alcune imprese, di alcuni RLS, di alcuni consulenti) e contribuire, con i risultati prodotti dall’indagine, a stimolare il dibattito tra e con le parti sociali, in modo da vedere un loro più attento e costante impegno in materia;
  • aver messo a disposizione degli operatori dei servizi di vigilanza e prevenzione del Dipartimenti di prevenzione (o sanità pubblica) delle Aziende USL strumenti e metodi validati per svolgere meglio il loro delicato e complesso lavoro di supporto, assistenza, regolazione, vigilanza e controllo.

 

Data di pubblicazione:
20/07/2003
Tipo di pubblicazione:
rapporti, linee guida, documenti tecnici
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ultima modifica 2019-01-16T12:36:21+02:00
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